57/100
Gli Human Colonies sono una band Noise pop Shoegaze ben conosciuta nel panorama indipendente italiano. Esordio nel 2016 con l’allora attivissima Mia cameretta Records (etichetta che produsse pure gli ottimi Wilderness) un paio di Ep nel mezzo e finalmente il nuovo Lp.
La band per il nuovo lavoro dice di ispirarsi allo scultore statunitense Daniel Arsham, artista che analizza con le sue opere il rapporto tra le cose(materiali e non) e lo scorrere del tempo.
Questo concetto viene sottolineato anche dal titolo, “Kintsukuroi”, che si rifà alla tradizionale pratica giapponese di riparare con la pasta d’oro gli oggetti d’argilla che si sono rotti.
Tutti i brani di Kintsukuroi ruotano per tematica quindi intorno al senso di ricostruzione, però, almeno secondo me, manca la vita post ricostruzione, siamo di fronte alla contemplazione romantica di quello che rimane dopo la rottura. L’atmosfera che si respira è come un estasi dove dolore e ricordi si intrecciano ma non si trasformano in novità.
Stilisticamente l’album è caratterizzato da pochissimi elementi che la band è bravissima a gestire per tutta la lunghezza del lavoro e questi guardano prepotentemente al passato, rispetto all’esordio c’è una decisa semplificazione delle strutture sonore, quasi un ritorno ai Ride e i My Bloody Valentine. Tutte le canzoni si basano su pochissimi elementi che reggono grazie ad un capace songwriting.
Un album che farà felice gli amanti del genere e forse lascerà indifferenti i fan della nuova era a cui fa capo il coreano Parannoul.
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